lunedì 19 luglio 2010

Sogni e incubazione nell'antica Grecia

Gli antichi Greci avevano una considerazione altissima dei sogni. Essi erano messaggeri degli dèi. Euripide nel 400 a.C. così li definisce: "...figli di Gea la terra, figli della notte e fratelli del sonno". Omero nell'Odissea, tramite la moglie di Ulisse, Penelope, parlerà delle due porte dei sogni: una d'avorio, l'altra di corno. Dalla prima fuoriescono i sogni privi di importanza o significato, dalla seconda fuoriescono i sogni apportatori del vero. Secoli più avanti, sarà il grande Platone a parlare dei sogni come espressione del mondo delle idee. La tesi di Platone sarà portata avanti da Aristotele che si occuperà dei sogni nei suoi scritti "Parva naturalia". Ma il primo vero studioso del mondo dei sogni sarà tale Artemidoro di Daldi, che scrisse un libro quasi enciclopedico sui sogni e sulla loro interpretazione.
Sognare in Grecia era un'attività di grande rispetto soprattutto per la sua funzione profetica e terapeutica (incubazione onirica). Essa consisteva nell'andare a dormire in un luogo lontano da tutti (ad esempio una grotta) dove vivere un'esperienza estrema. Nel buio e nella solitudine 'i pazienti' che presentavano patologie di malattie mentali, ripercorrevano le fasi di una morte rituale per poi rinascere a nuova vita.

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